Jerry Thomas Project

Jerry_ThomasBasta dire Jerry Thomas Project per partire; un viaggio spazio-temporale che ci riporta direttamente a New York, in America, negli anni ’20, in pieno periodo Proibizionista.

Un Vicolo quasi buio, nel quale incuriosisce un portone nero. Senza insegne, solo un citofono. Una volta dentro tatuaggi molti, bottiglie troppe, ma spazio poco. Un posto in cui musica e luci portano indietro la lancetta. Benvenuti nell’ America del proibizionismo, quella del “Old School”, quella del Jerry Thomas.

I menù quasi superflui. Accade che ci si lasci trasportare da ragazzi che si trovano lì per vocazione; chiedono e analizzano gusti e preferenze per poi spiegarti gli equilibri, perché al Jerry Thomas non si tratta di cocktail ma di sapori.

Il drink è un equilibrio; un equilibrio estetico ed intellettuale di sapori ed emozioni, in cui tutto affascina ed incuriosisce: dal suggestivo modo di agitare lo shaker, alle bottiglie utilizzate, agli strani atteggiamenti di bartender, sempre rigorosamente barbuti e tatuati.

L’equilibrio che ho deciso di raccontarvi è quello del drink che ha scelto Gianluca, il Margarita 238, una rivisitazione del classico e celeberrimo cocktail a base di Tequila, al quale viene apportata un pizzico di intensità con il contributo del liquore al chinotto, ne risulta una sensazione avvolgente, non spigolosa come la versione più commerciale conosciuta da tutti. La crusta (il sale sul bordo del bicchiere) è una chicca, copre solo una parte, per lasciare al cliente la scelta.

Jerry Thomas Project, c’è poco da dire, dovrebbe essere una gita scolastica, qualcosa di obbligatorio, un accrescimento culturale necessario. L’unico problema è riuscire ad entrare.

Pierpaolo Bianco e Gianluca Bitelli

Bloody Mary

Bloody MaryUna base di succo di pomodoro rafforzata da vodka e condita da tabasco, salsa worcestershire, sale, pepe ed infine rinfrescata dal succo di limone.

Signore e signori, il Bloody Mary: sapore elaborato e equilibrio di sapori atipico (un cocktail non proprio “per tutti”).

 

Il rosso drink nacque ufficialmente nel 1934 al St. Regis Hotel, quando, un barman di nome Petiot rielaborò un vecchio cocktail di nome “Red Snapper”, rinforzando il suo sapore con il Tabasco e rinominandolo “Bloody Mary”.

Non stupisce che con un sapore, un colore ed un nome così forti, il Bloody Mary sia avvolto dal fascino di storia e leggenda che, meglio di ogni altro cocktail, rispecchiano perfettamente il suo gusto elaborato.

A stupire, invece, è che il drink non prenda il suo nome così, come la leggenda vorrebbe, in “onore” di Maria d’Inghilterra, soprannominata “La sanguinaria” per la politica piuttosto violenta con la quale caratterizzò il suo regno. Ma che fu proprio Petiot, l’inventore, a svelare l’origine del nome, attribuendolo, da prima ad una cameriera del Bucket of Blood, un famoso locale di Chicago, conosciuta da tutti come Bloody Mary (il perché rimane un segreto) per poi rimangiarsi quanto detto e “dedicare” il cocktail ad una macabra leggenda. Nella quale Bloody Mary sarebbe una ragazza sepolta viva dai genitori che la pensavano morta.

Molte le varianti al long drink originale: il Virgin Mary, versione analcolica; il Red Hammer, con il gin al posto della vodka, che nacque negli anni ’50 quando la vodka non era commercializzata. Ci sono poi delle versioni più etniche, come il Bloody Geisha, fatto con il sakè; il Bloody Maria con la tequila o la Michelada con la birra messicana.

Piccolo inciso: il succo di pomodoro fatto in casa!

Pierpaolo Bianco